Abstract In Italiano
Il testo propone una riflessione teorica sulla relazione tra musica e gender. Il lavoro che qui si propone e che parte da un’etnografia realizzata in Cantabria cerca di comprendere quali sono le implicazioni delle ideologie legate al gender sulle performances musicali e di analizzare il perché della presenza, ancora attuale in numerose società, di ambiti musicali separati o complementari, legati spesso alle dicotomie domestico/pubblico e femminile/maschile. Si cercherà quindi di analizzare questi diversi fattori facendo riferimento all’analisi delle pratiche musicali di due strumenti tradizionali, il rabel e la pandereta, che in Cantabria sono strettamente collegati all’identità di gender.
Parole chiave: identità di genere, peformances musicali, strumenti musicali.
Abstract
This text suggests a theoretical assessment of the relationship between music and gender.
The work we present here started from an ethnographic study made in Cantabria, and tries to understand the implications of the ideologies linked to gender in musical performances. It is also an attempt to analyze the reason of the presence, still topical in several societies, of separated or complementary musical scopes, which are often linked to the dichotomies between domestic/public and feminine/masculine elements. We are therefore going to analyze these different factors focusing on the analysis of the musical practice of two traditional instruments: the rabel and the pandereta, which are strictly linked to the idea of gender in the region of Cantabria.
Keywords: gender identity, musical performances, musical instruments.
Questo articolo scaturisce da alcune riflessioni sulla relazione tra musica e gender, merse durante la mia esperienza di ricerca sul tema dell’espressività femminile nell’ambito della musica tradizionale cantabra.[1]
Gli studi etnomusicologici più recenti hanno ormai dimostrato come l’ideologia di gender di una società e i comportamenti ad essa collegati possano influire sul pensiero e sulla pratica musicale.[2]
Tali lavori sono basati su una premessa teorica fondamentale, ossia la distinzione tra la realtà biologica di sesso e la costruzione culturale di gender.[3]
E’ a partire dagli studi di antropologia femminista degli anni ’70 e’80 del ‘900, e poi di quelli più specifici di antropologia del gender che inizia a svilupparsi un ampio dibattito su alcune tematiche specifiche. Tra queste, una delle più controverse è quella relativa alla dicotomia tra uomo e donna e alla sua possibile relazione con l’opposizione cultura/natura. L’articolo pubblicato da Sherry Ortner nel 1974 dal titolo “Is Female to Male as Nature is to Culture?” è uno degli interventi più significativi proposti in tale ambito. Nel suo scritto la Ortner pone provocatoriamente il problema dell’universalità del concetto di gender e al contempo dell’enorme molteplicità di interpretazioni relative alle categorie “uomo” e “donna”. Se da una parte riconosce un’universale condizione di “subordinazione femminile”[4] dall’altra pone tale questione a livello delle ideologie culturali e dei simboli presenti nelle diverse società.
Per l’autrice questa supposta “subordinazione” non deriva dalle differenze biologiche tra i sessi ma dai diversi sistemi di valori culturali propri di ogni comunità. Tuttavia, come lei stessa sostiene, ciò non spiega perchè: “all cultures place a lower value on women”. (Ortner 1974:77). Secondo la studiosa la risposta va individuata nella fisiologia femminile che, a causa delle sue funzioni riproduttive, pone la donna universalmente come più vicina alla natura, facendo sì che i ruoli delle donne siano di fatto limitati a quelle funzioni sociali considerate anch’esse più prossime ai fenomeni naturali quali per l’appunto nutrire e allevare figli. Ed è proprio nella cura dei figli che la Ortner individua la causa del “confinamento” del mondo femminile al contesto domestico. A sostegno di questa tesi, Michelle Rosaldo asserisce che la dicotomia tra le categorie domestico/pubblico come modello strutturale è universalmente applicabile e offre una via per comprendere l’organizzazione delle attività femminili.[5] (Rosaldo 1974)
Una delle prime risposte sulle differenze dei ruoli di gender in una società fu proposta verso la fine degli anni ’50 da un gruppo di ricercatori della scuola di antropologia sociale di Oxford, guidati da John G. Peristiany e Julian Pitt-Rivers. Secondo tali autori il Mediterraneo si presentava come un’area culturalmente omogenea. La tesi da loro avanzata si basava sulla premessa fondamentale che l’unità culturale della regione fosse in buona sostanza dovuta alla condivisione del concetto di “honor e shame” e alla relazione di questo con le categorie di maschile e femminile.[6]
Tale assunto divenne per lungo tempo uno dei cardini della letteratura antropologica e etnomusicologica del Mediterraneo tanto da convertirsi in un vero e proprio stereotipo. In questi studi le figure femminili vennero rappresentate come silenziose, marginali, relegate in casa ed escluse dai ruoli sociali e dalle attività pubbliche.
La letteratura etnomusicologica relativa alle pratiche musicali ha però contraddetto tale enunciato dimostrando che, spesso, proprio grazie alla musica, le donne possono sovvertire i ruoli e acquisire un maggior potere, possono esprimere i propri sentimenti e le proprie idee anche nelle comunità dove si ritiene che vi sia un assoluto controllo maschile.[7] (Magrini 2003:15) D’altra parte, come fa notare Tullia Magrini, il mondo musicale è un ambito privilegiato per esprimere, cambiare e trasgredire i modelli locali di identità di gender. (Magrini 2003)
Ma allora bisogna chiedersi: quali sono le implicazioni delle ideologie legate al gender sulle performances musicali?[8] E ancora, può l’analisi della musica aiutarci a comprendere i ruoli di gender di un determinato gruppo sociale?
Come spiegare poi la presenza, ancora attuale in numerose società, di ambiti musicali separati o complementari, legati spesso alle dicotomie domestico/pubblico e femminile/maschile?
Cercherò di fornire alcune risposte a queste domande facendo riferimento all’analisi delle pratiche musicali di due strumenti tradizionali, il rabel e la pandereta, che in Cantabria sono strettanente collegati all’identità di gender.
Tuttora, nella prassi musicale, sembra sussistere una sorta di restrizione all’utilizzo di questi due strumenti per entrambi i sessi.[9] Il rabel è considerato generalmente maschile mentre la pandereta rappresenta lo strumento femminile per eccellenza.
Se, come risulta dalle diverse fonti, fino a qualche decennio fa le pratiche musicali maschili venivano nettamente separate da quelle femminili,[10] ció che sorprende è che ancora oggi tra le nuove generazioni persista una certa reticenza a sovvertire tali ruoli.[11]
Nelle narrazioni delle suonatrici delle generazioni precedenti i pochi suonatori di pandereta vengono presentati come casi esemplari. La descrizione della figura di Nazario, suonatore di pandereta della zona di Liebana, tracciata dalle due suonatrici di Caloca Lines e Mina Vejo, mostra con evidenza come ciò fosse considerato un evento inconsueto:
L.: Yo, de Nazario, todavía me acuerdo de tocar la pandereta.
M.: Sí, yo también.
L.: Yo le vi tocar a Nazario con la rodilla. Él la música la sacaba, tú le buscas la música a la pandereta con la mano, él buscaba a la mano la música con la pandereta. Él lo hacía al revés, ¿me entiendes? Nosotras tenemos la pandereta a la izquierda y la que busca la música a la pandereta es la mano. Él era al revés, él con esta mano la tenía y la buscaba. Yo me acuerdo de Nazario, y de más hombres no. (Lines y Mina 4-09-1997)
Come appena ricordato dalle due pandereteras, normalmente gli uomini suonavano lo strumento con una tecnica diversa, percuotendolo con il ginocchio anziché con la mano. E’ come se attraverso questa pratica si volesse sottolineare un distinto grado di specializzazione tra l’esecuzione maschile e quella femminile. La tecnica di Nazario, ad esempio, era la testimonianza della scarsa specializzazione che caratterizzava lo stile maschile. Il ritmo da lui ottenuto era realizzato attraverso il semplice movimento della pandereta sul ginocchio, mentre quello prodotto dalle suonatrici era il risultato di ricche figurazioni ritmiche elaborate percuotendo la pelle con la mano. Grazie al movimento delle dita sullo strumento le donne avevano la possibilità di sviluppare una tecnica più raffinata e di raggiungere una maggiore complessità ritmica e sonora.
La minore competenza esecutiva degli uomini determinava anche la loro “distanza” dallo strumento. In realtà non si “suonava” la pandereta ma la si utilizzava soltanto per imitare un ritmo, evidenziando così, un’estreneità verso una pratica musicale che era propria del mondo femminile. Un fattore questo che sembra venir confermato anche dal fatto che, come emerge nelle diverse narrazioni, gli uomini non suonavano mai per accompagnare la danza:
G.: ¿Sólo las mujeres podían tocar la pandereta?
B.: Sí, había hombres, que yo no los he conocido, pero he oído de uno, que ya se murió, que tocaba [...] y de otro Angelito y otro Luis [...] pero no era su oficio, o sea no tengo idea que en un baile los hombres estuvieran tocando la pandereta. Las tocadoras eran las tocadoras [...]. (Bondad 7-8-1997)
Le parole di Bondad, qui sopra riportate, avvalorano il principio secondo il quale gli strumenti esprimono una chiara identità di gender. La cosa sembra essere confermata anche dal fatto che, come notano altre suonatrici, in Cantabria non esista il vocabolo “panderetero”.
La distanza da uno strumento che si ritiene proprio di un altro genere sembra essere frequente anche nei casi in cui sia una donna a invertire i ruoli. Come spesso mi ha riferito Adela Gómez, considerata una delle migliori rabeliste della Valle di Polaciones, non è facile per lei superare il disagio di suonare il rabel in un contesto pubblico.[12]
In alcuni casi la possibilità di uno scambio di ruoli viene espressa addirittura con fastidio. E così espressioni come: “no me gusta”, “aquí no es la costumbre” vengono utilizzate dalla stessa suonatrice come testimonianze di un piacere estetico che fonda le sue ragioni su una tradizione consolidata, come appare evidente anche dalle parole di Ester Montes, panderetera di Requejo (Valle de Campoo), qui di seguito citate:
G.: ¿Quedaba bien si los hombres tocaban la pandereta?
E.: Aquí no ¡Es que la pandereta no es de los hombres! Y el rabel tampoco de las mujeres.
G.: ¿Y por qué los hombres no pueden tocar la pandereta?
E.: ¡Hombre! Poder tocar sí, porque no van a ir a la cárcel por eso, pero a mí un hombre tocando la pandereta no me gusta.
G.: ¿Por qué?
E.: Porque no me gusta, no les he visto nunca y no me gusta [...] a mí un hombre que se ponga a tocar la pandereta ¡oh por Dios!
E.: [...] No, a mí el rabel me gustan los hombres, como es, y la mujer la pandereta. (Ester 20-9-1997)
E se, come si è visto, molte pandereteras rifiutano il fatto in sé, lo considerano una cosa sconveniente, altre, pur mostrando il proprio stupore, si mostrano comunque incuriosite:
M.L.: Mira, a mí por ejemplo me llamó la atención este chiquito ¿cómo lo llamáis? (A.: Bevi) Bevi toca la pandereta y la toca muy bien, yo nunca había visto un hombre, ni sabía que los hombres, los muchachos tocan la pandereta. [...] Toca la pandereta eso al estilo montañés, porque, por ejemplo, estos que fuimos anoche a verlos [...] bueno, tocaban la pandereta, era un grupo de gallegos, pero distinto, no estilo baile, muy bonitamente, una soltura tremenda, un movimiento, pero no era el toque ese propio de pueblo, y por esto me extraña a mí, me llamó la atención y me gustó ver que este chiquito, Bevi, toca la pandereta al estilo montañés. (María Luisa 20-09-1997)
La “proibizione” alla pratica della pandereta da parte degli uomini o del rabel da parte delle donne sembra comunque non trovare giustificazioni e viene spiegata con un semplice “qui è sempre stato così!”. E’ d’altra parte vero come rimarca Glauco Sanga che “l’apparentemente banale ‘si è sempre fatto’ riassume il meccanismo stesso della tradizione, il ‘già fatto’ che garantisce l’identità culturale e prima ancora fonda la cultura”. (Sanga 1989: 235)
Effettivamente, la proscrizione di suonare determinati strumenti musicali in base ad un’identità di gender, benchè si riscontri in numerose culture, non ha ancora trovato nei diversi studi delle spiegazioni plausibili. Le ricerche di etno-organologia[13] che sino ad ora si sono occupate di questo tema hanno per lo più cercato di individuare nella simbologia sessuale degli strumenti le principali ragioni di questo divieto. Un approccio simbolico che, pur rappresentando una delle possibili interpretazioni, non ci aiuta però a scoprire la logica che sottende a tale tradizione. L’analisi della relazione tra strumenti musicali ed identità di gender può comunque favorire, come già sottolineato, la comprensione del modo in cui il comportamento musicale può riflettere e simbolizzare le differenze di ruoli di gender presenti in una determinata comunità.[14]
Il nesso uomini/strumenti e le possibili limitazioni imposte da una comunità rispetto all’utilizzo di alcuni strumenti musicali possono essere messi in relazione a tre diversi ordini di fattori:
- forma dello strumento e simbologia sessuale
- differenziazione dei contesti d’esecuzione
- significato dei testi dei canti
Gli studi organologici che si sono occupati sino ad ora delle possibili relazioni tra gli strumenti musicali ed una loro possibile simbologia sessuale hanno per lo più messo in luce la relazione esistente tra alcuni elementi costituivi dello strumento ed i suoi possibili riferimenti simbolici.
Come scrive Curt Sachs, nella sua Storia degli strumenti musicali:
Il sesso del sonatore e la forma dello strumento, o almeno le interpretazioni di essa, sono tutti elementi interdipendenti. Siccome la finalità magica di pressochè tutti gli strumenti è la vita, la procreazione, la fertilità, è allora evidente che i ruoli di ciascun sesso nella riproduzione sono indicati o nella forma dello strumento ispirata agli organi ordinati alla funzione riproduttiva, o nel movimento richiesto all’esecutore. Uno strumento assumerà la forma dell’organo maschile, uno strumento destinato alla donna somiglierà all’organo femminile. In quest’ultimo caso poi non è raro che venga accoppiato allo strumento un qualche oggetto di significato fecondante. (Sachs 1980 [1940]:43)
Le connotazioni sessuali attribuite ai diversi strumenti musicali possono così dipendere dalla forma, dal materiale, dal modo in cui viene suonato lo strumento o dal suono prodotto.
Nell’ambito di questa tradizione di studi, gli strumenti vengono così suddivisi e classificati secondo un dualismo sessuale che parte dal presupposto che l’opposizione fondamentale tra l’uomo e la donna rappresenti il “principio di ogni forma di vita organica”. (Sachs 1979 [1962]:112) In questo tipo di letteratura il riferimento più diretto è infatti quello che interpreta le forme degli strumenti come simboli degli organi sessuali maschile o femminile. Gli strumenti a fiato, secondo questo tipo di classificazione, in virtù della loro forma, sono per lo più identificati con l’organo sessuale maschile, mentre per quanto riguarda gli strumenti a percussione, di cui il tamburo monopelle a cornice (la pandereta) fa parte, vengono strettamente associati al sesso femminile.[15] Come sostiene ancora Curt Sachs, infatti, il tamburo, sia per ciò che attiene alla forma che per il materiale con cui è costruito, ricorda il ventre della donna. (Sachs 1980 [1940]:43)
In generale, nell’iconografia antica[16] il tamburello era per lo più rappresentato come strumento per accompagnare le danze legate ai riti femminili della fertilità, come qui ricorda Roberta Tucci:
Nel Vicino Oriente le donne usavano il tamburo a cornice per i culti lunari. Statuette sumeriche risalenti al 2000 aC rappresentano figure muliebri nell’atto di suonare dei tamburi a cornice. Anche nell’antico Egitto lo strumento era suonato esclusivamente da donne e così pure in Grecia e a Roma per i culti di Dioniso e Cibele. (Tucci 1991:159)
Un ulteriore elemento messo in luce dalla letteratura etno-organologica[17] riguarda la relazione esistente tra il lato destro o sinistro del corpo umano -che a loro volta identificano una parte maschile ed una femminile- ed alcune parti dello strumento[18] e il modo con cui questo viene suonato.[19]
In Cantabria la separazione tra le pratiche musicali maschili e quelle femminili non sembra però essere determinata, almeno per quanto risulta dalle fonti, dall’associazione tra strumenti musicali e simboli sessuali.[20]
In alcuni luoghi si verifica invece un procedimento contrario: è alla donna, in virtù di alcune caratteristiche fisiche, che viene attribuita un’identità “musicale”, tanto da arrivare a definirla come una pandereta:
G.: ¿Es verdad que cuando una persona no tiene arte para nada la llaman “panderetona”?
L.: Sí, no sé ni por qué razón, claro yo entiendo es un instrumento al ladu de otros muchos instrumentos, pues, muy humilde si quieres, muy poca cosa, entonces cuando había alguna muchacha que era muy “desgarbá”, muy mal hecha, así, ciertamente se solía decir, era un apelativo que se le daba, desde luego “mira que eres como una panderetona”, ese era el apelativo que se le daba. (Lines 8-10-97)
Questo tipo di identificazione evidenzia, tra l’altro, una contraddizione insita nello strumento stesso: all’estrema semplicità strutturale, che fa sì che la pandereta venga considerata uno strumento scarno, semplice, come lo definisce per esempio Lines, si contrappone una complessa tecnica esecutiva e una grande ricchezza ritmico-timbrica.
L’assunzione di elementi simbolici legati a metafore sessuali non ci aiuta quindi a comprendere le ragioni della differenziazione di ruoli all’interno delle pratiche musicali tradizionali cantabre. Credo pertanto che una tale separazione vada valutata in relazione all’intero processo esecutivo nel quale entrano in gioco fattori come il contesto d’esecuzione ed il significato dei canti che vengono eseguiti.
Molti studi sul comportamento musicale[21] documentano l’esistenza di luoghi d’esecuzione distinti che basano fondamentalmente la loro separazione sulla dicotomia pubblico/privato, maschile/femminile.
Una tale dicotomia è stata spesso utilizzata negli studi di gender[22] come categoria interpretativa per comprendere i ruoli svolti da donne ed uomini all’interno di una determinata comunità.[23] L’associazione tra le due categorie, domestico e femminile, come è stato detto in precedenza, è stata interpretata da molte antropologhe[24] come una conseguenza diretta delle caratteristiche fisiologiche femminili. Partendo da queste stesse considerazioni, alcuni studi di etnomusicologia[25] hanno testimoniato una considerevole prevalenza maschile all’interno dei contesti d’esecuzione pubblica, in particolare per quel che riguarda la pratica strumentale. Come fa notare Susanne Ziegler, laddove esiste una separazione marcata tra una sfera musicale femminile e una maschile, la partecipazione di una donna alle pratiche musicali nell’ambito di un contesto pubblico viene associato al fenomeno della prostituzione.[26] Il fatto che in molte comunità l’identità di una donna sia strettamente collegata alla sua sessualità è stata confermata anche in altri studi[27] dove è stato sottolineato come il ruolo femminile, all’interno delle performances musicali, venga spesso strettamente collegato all’età della suonatrice. La perdita delle capacità riproduttive, valutata come una riduzione della sessualità, permette infatti alle musiciste, in alcuni contesti culturali, di conseguire una maggiore libertà nei luoghi d’esecuzione pubblica.[28]
A differenza di quanto detto sino ad ora, in Cantabria il fenomeno appare completamente rovesciato. Quella che veniva di norma considerata la sfera maschile, ossia il contesto pubblico, apparteneva in questa comunità alle donne. La pandereta, infatti, che come abbiamo visto è lo strumento femminile per eccellenza, vuoi per la sua funzione di accompagnare la danza, vuoi per le sue maggiori capacità sonore, era considerato uno strumento di “strada”. Al contrario, il luogo tradizionale d’esecuzione del rabel era la “cucina”. Questa contrapposizione sonora e spaziale dei due strumenti ha così nei fatti determinato un ribaltamento dei ruoli.[29]
Alcuni studiosi ritengono questa circostanza sia stata determinata dalla particolare rilevanza sociale assunta dalle donne in questo specifico contesto culturale. Ana Maria Rivas, ad esempio, nel suo lavoro Antropología social de Cantabria, sottolinea come questa regione, in ambito lavorativo e in relazione all’uso degli spazi e del tempo, sia stata caratterizzata da una sostanziale indifferenziazione di ruoli.[30] (Rivas 1991) Come lei stessa sostiene, in una società dove uomini e donne realizzano le stesse funzioni economiche e sociali, dove il sistema impone alle donne le stesse regole di lavoro e di rendimento economico, in cui il principio di autarchia familiare rappresenta uno dei valori fondamentali della società, non c’è da meravigliarsi se le relazioni tra i sessi perdono quel carattere di tabù che è presente in altre zone rurali della Spagna.[31] (Rivas 1991)
Ma se nel quotidiano uomini e donne sembravano svolgere gli stessi ruoli, era in realtà nei momenti festivi, ed in particolare durante le performances musicali che, come sostiene l’antropologa spagnola, emergeva chiara la contrapposizione tra i due sessi:
Hombre y mujer utilizan el canto para recuperar, durante un corto periodo de tiempo, el protagonismo perdido en las relaciones cotidianas entre ambos: el hombre a través de los cantares de rabel aparece come sujeto activo, provocador, incitador, seductor; la mujer se presenta como agente pasivo que sufre las consecuencias de los vaivenes de esa relación. El rabelista actúa en la cocina, en el centro doméstico, ante una parte considerable de miembros de la comunidad, mientras él canta, los hombres escuchan y las mujeres hilan, cosen o tejen, reafirmando así la autoridad masculina sobre la mujer. La panderetera, por su parte, canta en la calle, fuera del ámbito doméstico, [...] en cualquier sitio adecuado para bailar. Por medio del canto, sentimientos que en el tiempo ordinario pertenecen al ámbito de lo privado, personal o familiar, se hacen públicos. [...] los cantares de pandereta son su vehículo de expresión, cualquier mujer puede sentirse identificada con los hechos, acontecimientos, situaciones y sentimientos que en ello se recogen. (Rivas 1991:127-128)
I luoghi musicali, intesi come scenari in cui avvengono le performances, si convertivano in spazi di socializzazione.[32] Anteriormente il canto, che veniva usato per lo più come metafora delle relazioni sessuali, permetteva di stabilire un tipo di comunicazione tra uomini e donne diverso da quello utilizzato in un contesto quotidiano. Ma se gli spazi d’esecuzione erano per così dire invertiti, era attraverso i testi dei canti che i ruoli venivano riconfermati. Sia i canti eseguiti con il rabel[33] che quelli eseguiti con la pandereta sono in gran parte centrati sulle relazioni sessuali, ma, mentre nei primi sono frequenti le metafore sessuali ed i riferimenti erotici, nei secondi la relazione uomo/donna viene posta su un piano distinto. Nei cantares di pandereta, il rapporto d’amore viene per lo più descritto attraverso i sentimenti che esso è in grado di esprimere: la felicità, il disinganno, l’infedeltà, la passione, il disprezzo o la gelosia.[34]
E’ allora forse proprio attraverso i testi dei canti che è possibile individuare una possibile chiave di lettura per comprendere una delle ragioni della separazione tra pratiche strumentali femminili e maschili.
La determinazione di Ester nel sostenere la proibizione per le donne di suonare il rabel si modera, ad esempio, nel momento in cui le domando se il divieto è legato allo strumento o a quanto viene detto nel testo del canto: “Si no cantarían a mi me parece igual pero si cantan cantares picantes no me gustan, ahora si cantan de los otros también se los perdono, pero son cantares muy feos para cantarles una mujer”. (Ester 4-08-1997)
Così, come in molte altre narrazioni, testi che vengono considerati divertenti se eseguiti da uomini, diventano volgari e sconvenienti se cantati da una donna:
E.: A mí no me gustan que lo toquen las mujeres, te lo digo [...] es muy bonito para los hombres porque son cantares picantes que son bonitos para los hombres, pero no para las mujeres, a mí las mujeres cantan un cantar que cantan los hombres y me parece una cosa asquerosa.
G.: ¿Y con la pandereta se cantan cantares picantes?
E.: No. (Ester 16-08-1997)
Ma il testo ci rimanda nuovamente allo spazio e così ci si accorge che la proibizione di suonare uno strumento come il rabel viene meno proprio nel momento in cui questo viene suonato in un ambito domestico.
Come sostiene Adela, non esiste una vera proibizione per le donne di suonare questo strumento, a patto che esse lo facciano in un luogo appropriato:
G.: ¿Y cómo es que usted toca los dos instrumentos, el rabel y la pandereta?
A.: ¡Pues lo he aprendido! [...] Pues, mira, aquí única. El rabel el hombre y la pandereta la mujer, pero bueno, yo tuve un poco de afición al rabel, como estaba allí en casa, pues le cogía, eso lo coge el oído, pues yo lo cogía, tenía un hermano, el hermano mayor, que tocaba él, yo cantaba que ¡hasta a mí me gustaba!
G.: ¿Qué decían las otras mujeres que usted tocaba el rabel?
A.: No se hacían caso, no se hacían caso.
G.: ¿Lo tocaba también fuera?
A.: No, no sólo en la cocina. [...]
G.: ¿Con la pandereta no se cantan canciones picantes como con el rabel, no?
A.: Si quieres sí, claro, pero por ejemplo es en la cocina. Es en la cocina no es en público.
G.: ¿Por qué no en público? Porque con el rabel se puede hacer.
A.: Bueno en público por ejemplo lo cantan en los festivales de Torrelavega,[35] Santander. [...] Eso ya lo cantan por ahí, pero por aquí no, eso no se usa. No queda bien.
G.: ¿Y tú cuando tocas en Pejanda no tocas canciones picantes, no?
A.: No, no porque tengo allí un hermano que los canta y si sé alguno se los digo a él para que los cante él ¡porque hace más gracia! Qué sé yo, me parece poco discreto el ponerme yo allí a cantar, es bastante, es bastante ponerte allí a tocar en público. (Adela 31-08-1997)
Il “no queda bien”, espresso da Adela come ragione per spiegare questo “confinamento” in ambito domestico del rabel, rende abbastanza evidente il nesso esistente tra le pratiche musicali ed il sistema di valori culturali che quella determinata comunità esprime e condivide.[36]
La presa di distanza di Adela dai nuovi “scenari” è, d’altra parte, la riconferma di un sistema di valori che sta cambiando e in cui le suonatrici più anziane non si riconoscono.
La recente partecipazione pubblica di questa suonatrice, frequentemente invitata ad esibirsi sui palcoscenici[37] proprio per il fatto di essere una delle poche rappresentanti femminili di questo strumento, viene da lei stessa valutata quasi esclusivamente nei termini di un dovere da compiere:“G.:¿Hace poco que lo toca fuera, a los festivales?
A.: Yo solo he salido a tocar allí, porqué aquí esta fiesta se hizo hace poco. [...] fuimos a tocar para empezar la función que funcionara la fiesta. (Adela 31-08-1997)”
L’imbarazzo espresso con un “[...] a parte de que yo no voy, vengo siempre en el anuncio, [...] y Adela no se presenta [...] porque no me gusta” (Adela 31-08-1997), sembra così venir superato soltanto davanti alla consapevolezza di svolgere un ruolo importante nel mantenimento e nella trasmissione di certi saperi all’interno della propria comunità.
Quanto emerge da queste narrazioni sembra comunque suggerire che forse è soprattutto il repertorio a determinare la “proibizione” di suonare determinati strumenti e la loro performance all’interno di spazi pubblici o privati.
I suoni musicali divengono così, allo stesso tempo, volgari ed immorali, nobili ed innocenti a seconda di quali siano i repertori e i contesti d’esecuzione.
Molti studi di etnomusicologia[38] hanno sottolineato questo fatto, evidenziando come, in alcuni contesti culturali, ancora oggi, la musica venga spesso svalutata proprio perchè associata alla sessualità femminile. A tale proposito, una suonatrice può essere disprezzata ed emarginata dalla sua stessa comunità, soltanto per il fatto di essersi esibita pubblicamente. E’ questo il caso di Paula,[39] una ragazza che fu costretta a lasciare il proprio paese per aver cantato un repertorio considerato improprio.
La storia di Paula, raccontatami da Lines e Mina, che qui riporto nella sua interezza, rappresenta un esempio emblematico di come la pratica musicale possa determinare il pubblico disprezzo nei confronti di una suonatrice da parte della sua stessa comunità.
L’esibizione pubblica può in alcuni casi, come in questo esempio specifico, essere direttamente associata a fenomeni di “prostituzione”[40]:
L.: Yo me acuerdo cuando vino por ahí Paula cantando y haciendo cosas. Yo estaba loca por aprender lo bien que cantaba, me acuerdo que una vez, no sé, andaba yo cantando la canción de Paula y mi padre ¡Ay, Dios mío! Sí no me se olvida.
G. :¿Por qué, qué pasó?
L.:¡ Hombre! Porque yo cantaba y así: “no, no, esta si no la ponemos a frenu, esta sale una loca”.
M.: Y Paula no tenía motivos pa’ que la calumniaran como la calumniaron. Esa muchacha era como un artista y no había salido de aquí y cantó una vez en Potes, y “¿dónde habrá estado esa?”
L.: La empezaron a llamar cabaretera. Ya sabes más o menos que quiere decir eso, a pisotearla.
M.: Fue algo de comedia a La Vega, y llevó a Paula ‘pa’ que cantara y cuando trabajaban los que hablaban se salía la gente y cuando cantaba Paula volvían a entrar otra vez porque era una verdadera artista, no la hizo más, la pobre.
[...] Veras tú, estuvo con las monjas, esa muchacha salió, no sé decir la palabra, y de las monjas iban los señores a pedir muchachas, y las monjas sabían y le decían pa’ que las querían, y las monjas sabían cual valía pa’ uno y cual valía pa’ otru y pidieron una pa’ el teléfono y dijeron Paula, y en aquella casa me dijo a mi Paula era pa’ ella como un paraíso. Y cantaba muy bien y allí había, entonces no lo había ni radio ni televisión, en aquella casa sí, era una casa importante de señores. Aprendió todas las canciones, cantaba igual que la radio y cantaba muy bien, era una verdadera artista, no lo hizo más. Aquí fue despreciada hasta más no poder, (L.: Eso fue horrible) hasta de las mismas mujeres por encima. Y después esas mismas mujeres que la despreciaban a la cara y la llamaban disparates, si las sucias hubieran podido valer (L.: Eso digo yo), se hubiera sido su voz, todo era envidia.
G.: ¿Quién hablaba mal de ella, las mujeres mismas o los hombres?
L.: Las mujeres y los hombres.
M.: Todo el mundo, pero fue sin motivo ¡eh!
G.: Lo que no entiendo es por qué las mujeres podían tocar la pandereta y cantar y nadie decía nada y no podían cantar estas otras canciones. ¿Qué diferencia había entre esta música y la otra?
L.: Lo que más me ha dolido a mí después de toda esta riña, porque las mismas mujeres no tuvieron leal pa’ defenderla.
M.: Y los hermanos.
L.: Y quitarse tierra de encima hasta pa’ ellas mismas ¿entiendes? Porque él lo que tú no me tienes que echar a mí es tierra encima a mí, eso es lo que no tienes hacer o yo a ti. Y nadie.
M.: Una vez en el ríu y esta fue Florencina, yo creo que no le quedó gana de insultar, la dijo que era la mujer más despreciá del mundo. “¿Por qué me dices tú a mí esto? La pescó y la sopa que tenía allí, que estaba lavando se la tiró encima, la acostó en el ríu y le tiró la ropa encima.
L.: Esa era la hija de una viuda, y era muy pobre (G.: ¿Quién, Paula?) Sí, ellos la verdad que vivían en eso, y tú sabes, yo no sé en tu país si será o no será, en España tristemente el único valor que existe es el dineru. Los valores personales no existen.
M.: Esa muchacha no tuvo respaldo aquí. [...]
G.: Bueno, pero lo que no entiendo es por qué si una mujer podía tocar en el baile no podía cantar cosas diferentes.
L.: Bueno pues no, porque el tocar la pandereta y el tambor era de toda la vida y eso estaba ya (M.: Bien) era ya una cosa que era.
M.: Esta muchacha se destacaba sobre todo en esti asunto de folklore, en cantar muy, en ser simpática, en ser guapa. [...] Superaba a todas, a todas [...] Sin motivo y todo por envidia.
G.:¿Y paró de cantar?
M.: Sí. Y tú cuando eras chicas decías “tengo una gana de parecerme a Paula”.
L.: Que sí. [...] Tuve que aguantar
M.: Era, por decirlo de una palabra, Paula fue sobresaliente en el aspectu de simpatía y de folklore y de gracia y de todo, y en presencia. [...] Pero que no hay derecho que a una persona que la lastimen así.
G.: ¿Y tu padre cuando tú cantabas que te decía?
L.: Pues eso no, ya te digo que una vez, todavía me acuerdo yo de eso, que eso allá fue en la tu cocina que cantara el Almendro que era lo que cantaba Paula, la oí mi padre y dice “¿dónde aprendiste esto cantar?
G.: ¿Por qué tenía unas palabras un poco picantes?
L.: No, no tiene nada.
M.: No, no, no es porque lo cantaba Paula.
Credo che in questa lunga narrazione, che qui ho voluto riportare per intero, risieda, in realtà, la chiave interpretativa della possibile relazione tra strumenti musicali e identità di genere e delle potenziali proibizioni imposte agli esecutori. Nell’ambito della stessa comunità, esistono, infatti, criteri di valutazione diversi per lo stesso mondo di suoni, si potrebbe quasi dire: “c’è musica e musica”. C’è la pandereta, considerata il “suono della tradizione”, e c’è Paula, che rappresenta il nuovo, la musica “altra”, quella che arriva dalla radio. I suoni diventano così portatori di valori nuovi e per ciò stesso pericolosi.[41] E’ l’intraducibilità che pervade la musica a renderla così ambigua e allo stesso tempo così potente e così temibile.
La musica può infatti, come si evince dal racconto, esprimere allo stesso tempo valori distinti e contraddittori grazie al fatto che gli elementi sonori appaiono come forme vuote[42] che vengono di volta in volta riempite di contenuti. I significati della musica, percepiti all’interno di una comunità anche in base a criteri extra-musicali, dipendono quindi fondamentalmente dai valori che quella comunità particolare decide di attribuire a quei suoni, determinandone in questo modo anche la loro possibile proibizione.
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[1] La ricerca sul campo è stata da me realizzata dal 1996 al 2001.
[2] Su questo argmento cfr. anche Magrini 2003.
[3] Lo sviluppo della ricerca sul tema “musica e gender” in Etnomusicologia è strettamente collegato agli studi antropologici sul gender. Come sottolinea Ellen Koskoff, se, fino a qualche anno fa, la letteratura etnomusicologica era ricca di riferimenti relativi alla musica e alle pratiche musicali o repertori femminili, la gran parte di questi studi non faceva, però, esplicita allusione alle ideologie sul gender di una determinata società e ai modi in cui queste influenzavano i comportamenti musicali femminili. (Koskoff 1987b:2)
[4] E’ questa una delle principali tematiche sviluppate dell’antropologia femminista.
[5] Nell’ambito dell’antropologia femminista questa tesi è largamente accettata. Secondo Sherry Ortner e Harriet Whitehead la sostanziale differenza nel categorizzare il maschile e il femminile risiede nel fatto che solitamente si definiscono gli uomini in termini di categorie di ruoli, mentre si usa definire le donne in termini di relazioni tra i sessi (madri, mogli, etc). (Ortner & Whitehead (eds.) 1981). Verena Stolcke, al contrario, afferma che la disparità tra i sessi è il risultato di una specifica tendenza storica a “naturalizzare” una diffusa disuguaglianza socio-economica. (Stolcke 1993). Nonostante le innumerevoli discussioni, il dibattito sulla riducibilità del gender ai fatti biologici è tuttora aperto. Cfr. anche Hastrup 1978.
[6] Peristiany sosteneva che le culture mediterranee erano caraterizzate da un elemento comune: l’opposizione tra i due sessi e che a ognuno di questi venisse associato un valore culturale contrapposto, honor per gli uomini e shame per le donne. Come sottolinea la Magrini, in realtà Peristiany, in una pubblicazione del 1992 curata insieme a Pitt-Rivers, ha smentito che nel suo libro del 1966, Honor and Shame: The Values of Mediterranean Society, abbia mai parlato di una vera e propria omogeneità culturale dell’area. In realtà sono stati gli studiosi di Antropologia del Mediterraneo ha assumere la tesi di Peristiany e a convertirala in un vero e proprio stereotipo.
[7] Per molti anni questi due valori sono stati assunti nell’ambito degli studi antropologici ed etnomusicologici come categorie d’analisi per interpretare le culture del Mediterraneo. I più recenti studi hanno ormai superato questo tipo di interpretazioni dimostrando che, non solo non si può parlare di un’unità culturale mediterranea, ma che i concetti di honor/uomo e shame/donna non sono stati così presenti nelle aree della regione. Va comunque riconosciuto all’Antropologia del Mediterraneo il merito di aver dato avvio a delle ricerche nelle quali fosse tenuto in conto il valore dei ruoli di gender in una società.
[8] Come ricorda Tullia Magrini, i contesti d’esecuzione musicale sono d’altra parte delle occasioni privilegiate per la costruzione e rappresentazione delle identità individuali di gender, così come per la comprensione delle interrelazioni tra i diversi gender presenti all’interno di una stessa comunità. E’ ancora la Magrini a sottolineare come sia possibile esaminare i ruoli di gender di una società attraverso lo studio delle pratiche musicali. Scrive a tale proposito la studiosa italiana: “A study of the enormous variety of musical practices may yield an extremely nuanced picture of the extent to which such gender relationships vary, and the ways in which the words, the gestures, and the sounds of music are capable of expressing different gender identities”. (Magrini, 2003:5)
[9] Naturalmente non vi è una proibizione manifesta ma certamente sussiste una consuetudine rispettata.
[10] Anteriormente lo era a tal punto che in alcune località se un uomo suonava la pandereta veniva denominato mujerita La perdita della identità maschile di un suonatore causata dall’utilizzo di uno strumento considerato femminile è segnalata anche in altri contesti culturali. Come scrive, ad esempio, Hiromi Lorraine Sakata a proposito dell’Afghanistan “When the gender of the performer changes, the status of the instrument of the performer may also change. [...] if a man palys the chang (Lo scacciapensieri. E’ in questo contesto uno strumento femminile) he is not considered a “real” man. (Sakata 1987:87-88)
[11] Anche se non esiste nessun divieto tangibile relativo alle diverse pratiche musicali, l’inversione dei ruoli musicali continua ad essere considerato un fatto “anormale”. E’ tuttora difficile, infatti, trovare dei ragazzi iscritti ai corsi di pandereta, così come scarse sono le figure femminili presenti nei contesti d’esecuzione di rabel. Begoña, una panderetera di trent’anni, mi raccontava, ad esempio, che molti bambini le chiedono di potersi iscrivere ai suoi corsi di pandereta ma che lei non accetta le iscrizioni perché la pandereta è uno strumento femminile. Anche nei gruppi di folk revival la pandereta è generalmente suonata da ragazze.
[12] Adela, insieme a Juliana Rabago, è una delle poche suonatrici di rabel della generazione precedente. Ambedue sono restie a salire sui palcoscenici a suonare questo strumento in contesti pubblici.
[13] Si vedatra gli altri Schneider 1992 [1960], Sachs 1980 [1940], Schaeffner 1978 [1968].
[14] Sul modo in cui la musica può definire e riflettere l’ordine sociale e sessuale stabilito in una società si veda Koskoff 1987b, Magrini 2003.
[15] E’ interessante sottolineare che non sempre gli strumenti a membrana come il tamburello sono considerati strumenti femminili. Sachs, ad esempio, sottolinea come in alcuni casi alcuni strumenti possano essere considerati sessualmente ambigui: femminili per la forma ed il materiale, maschili per il modo in cui vengono suonati. E’ il caso del tamburo suonato con le bacchette. Secondo Sachs l’atto della percussione veniva interpretato dai “primitivi” come simbolo del coito (Sachs 1979 [1962]). E’ per questo motivo che il tamburo percosso dalle bacchette ha, secondo lo stesso Curt Sachs, una valenza maschile. La stessa Roberta Tucci ricorda come Favara descrivendo la musica siciliana sottolineava questo tipo di “dicotomia sessuale applicata agli strumenti a percussione in base alla quale il tammureddu [tamburello] viene assegnato alle donne, il tammurinu [tamburo] agli uomini”. (Tucci 1991:179-180). Per quel che riguarda la Cantabria sembra esistere la stessa differenziazione di ruoli. Con questo non voglio assumere la tesi di Sachs, voglio soltanto sottolineare che, come mi raccontava Mina “El tambor era proprio de los mozos, y lo tocaba un mozu el tambor y la pandereta una moza” (Mina 4-09-1997).
[16] A questo proposito si veda Sachs 1980 [1940], Leydi 1989, Tucci 1991.
[17] Si fa riferimento ancora ai testi di Sachs 1980 [1940] e Schaeffner 1978 [1968].
[18] Si veda a questo proposito Tucci 1991, De Simone 1979.
[19] In un contesto culturale diverso qual’è quello italiano, la consuetudine di distinguere tra un modo di suonare maschile ed uno femminile è ricordata anche da Roberto De Simone. Nel caso della Campania, una regione dove il tamburello ha un ruolo predominante nell’ambito della musica tradizionale, l’identificazione tra gli strumenti musicali e l’identità di gender è piuttosto marcata. Scrive De Simone a tale proposito: “Tale differenza non è sempre denunciata, ma il fatto che in molti casi essa venga sottolineata da alcuni suonatori [si riferisce ai suonatori di tamburello] (che poi risultano essere i migliori), dimostra ancora la resistenza nella tradizione di una vecchia concezione comune a diverse culture, dove si dà al lato destro dell’individuo una identità ‘maschile’ e al lato sinistro una identità ‘femminile’. In tal senso l’individuo, specialmente nel momento rituale, si mostra naturalmente doppio”. (De Simone 1979:16)
[20] L’unico riferimento che mi è stato fatto in tal senso si riferiva al rabel. Adela spiegandomi le parti che compongono lo strumento mi diceva che le due corde vengono dette una hembra (femmina) e l’altra macho (maschio). Per il resto, soprattutto per quel che riguarda la pandereta, nonostante abbia più volte tentato di sollecitare domande su questo tema specifico, non ho mai ricevuto indicazioni in tal senso.
[21] Si veda a questo proposito tra gli altri Sarkissan 1987, Ziegler 1990, Sugarmann 1997.
[22] Si veda tra l’altro Ortner 1974, Rosaldo 1974, Ortner & Whitehead 1981.
[23] E’ interessante a questo proposito la posizione di Julie Marcus che suggerisce di abbandonare l’idea di ambiti contrapposti basati sulla dicotomia domestico/pubblico per provare invece ad individuare sfere private e pubbliche all’interno di ogni gender domain. (Marcus 1992)
[24] Si veda in particolare Ortner 1974 e Rosaldo 1974.
[25] Si vedano a questo proposito Koskoff 1987a, Herndon & Ziegler 1990.
[26] Susanne Ziegler, facendo riferimento ad una ricerca svolta nel sud della Turchia sulle musiche tradizionali che accompagnano il rituale di nozze, sostiene che è permesso soltanto alle donne delle comunità zingare, in virtù del loro status marginale, suonare in un contesto pubblico. Scrive la Ziegler “Their role as musicians is closely connected with the flavour of indecency and they are spoken of by Turkish men as the village prostitute”. (Ziegler 1990:89)
[27] Si veda a questo proposito Petrovic 1990.
[28] Interessante a questo proposito la riflessione riportata dalla Petrovic: “In post-menopausal years, village women in the Dinaric region undergo an upgrading of social status. That is the period in the woman’s life when her work and creative experiences are recognized and acknowledged by the family and by the community. It’s then that they achieve near equality with men and there is a relation of the restrictions upon their freedom to communicate with men, since they are considered no longer sexually active”. (Petrovic 1990:81)
[29] Così lo ricorda anche Adela, una suonatrice della Valle di Polaciones, che, come è già occorso di ricordare, è al contempo panderetera e rabelista:
“G.:¿El rabel se tocaba en casa?
A.: En casa en la cocina. El rabel es de cocina
G.:¿Y la pandereta?
A.: La pandereta es de calle.
G.: ¿Y por qué?
A.: Porque hace mucho ruido la pandereta.” (Adela 31-08-1997)
Naturalmente sono ormai cambiati anche i contesti d’esecuzione. La pandereta è stata relegata per lo più ad un ruolo rappresentativo e l’accompagnamento del ballo è stato demandato al pito e al tambor. E’ cambiato anche il contesto d’esecuzione del rabel, strumento anch’esso emblematico della cultura musicale cantabra. Grazie alle possibilità offerte dall’amplificazione tale strumento non è più relegato agli spazi domestici ma ha conquistato gli scenari dei contesti d’esecuzione pubblica. Permane però, come già detto, una forte separazione di ruoli di gender relativa all’esecuzione di questi due strumenti.
[30] “[...] hombre y mujer colaboran indistintamente en todas las faenas agrarias de la explotación familiar, dentro de ésta nadie es insustituible, todos saben hacer de todo. La familia como unidad económica y sociocultural demanda de sus miembros la superación de cualquier dualidad en razón de su sexo, edad o estado”. (Rivas 1991:116)
[31] La particolare rilevanza sociale delle donne in una regione come la Cantabria è stata spiegata da alcuni studiosi (Caro Baroja 1973) come il vestigio di un’antica forma di matriarcato. Alcuni storici (González Echegaray 1997) sostengono, d’altra parte, che la famiglia cantabra durante l’epoca della conquista romana fosse basata su una struttura di tipo matriarcale.
[32] Secondo Ellen Koskoff “performance environments may provide a context for sexually explicit behaviours, such that music performance becomes a metaphor for sexual relations”. (Koskoff 1987b:6)
[33] I canti eseguiti con il rabel, per il loro carattere licenzioso, sono conosciuti anche come cantares picantes. In realtà i testi eseguiti con il rabel non sono tutti di carattere licenzioso.
[34] Ana Maria Rivas in un testo non pubblicato dal titolo “Tiempo de canción, tiempo de creación: la rapresentación de la identidad” fa una lunga disanima di testi di canti di rabel e pandereta da lei raccolti. Secondo la Rivas i canti di pandereta svolgono una duplice funzione. Da un lato definiscono e trasmettono l’ideale femminile ed i valori che caratterizzano la norma di comportamento femminile di questa comunità; dall’altro consentono alle donne di “recuperare” la propria identità femminile. Scrive la Rivas: “La realidad cotidiana somete a la mujer a una multiplicidad de roles [...] la convierte en un ser asexuado. [...] En este deambular, no hay tiempo para la manifestación de sentimientos”. (Rivas 1994: 235) E’ quindi attraverso l’esecuzione musicale che alle donne, sempre secondo la Rivas, è permesso d’esprimere pubblicamente i propri sentimenti.
[35] Secondo Chema Puente, rabelista di Cueto, la tradizione di eseguire canciones picarescas sui palcoscenici durante i festivals è stata accentuata durante gli anni ’70 proprio perché era divenuto in qualche modo un fattore d’attrazione: “Por lo menos de los años setenta para acá cuando bajan los rabelistas a Santander, los rabelistas campurrianos sobre todo que son los que más se han movido y baja uno en concreto que se llama “Lin el Airoso”, que es el que un poco inicia esta tradición aquí en Cantabria. Era una persona ya mayor, muy graciosa, y cantaba también canciones picarescas [...] porque lo llevaban a la televisión, entonces tuvo una cierta repercusión social en su día y después este estilo caló en la zona de Torrelavega, que es una zona importante dentro de la música tradicional y que siguieron su ejemplo, siguieron cantando canciones picarescas y yo creo que hay una serie de gente que sigue esta línea. Sin embargo en Campoo también hay gente, rabelistas como Paco Sobaler que nunca canta canciones picarescas salvo si vas a su casa y te canta una pero en un escenario nunca cantaría una canción picaresca, porque quizá sea una persona muy religiosa o tenga cierto prejuicio, solo te lo canta cuando vas a su casa. Y yo creo, no sé, los medios de comunicación, los escenarios están condicionando la música tradicional en este aspecto. (Chema Puente 11-10-1997)
[36] In questo senso, come sostiene Bruno Nettl, è importante “intendere la musica come un sistema la cui conoscenza può aiutarci a migliorare la nostra comprensione delle strutture e dei valori di una società”. (Nettl 1983:15)
[37] Pur partecipando ad alcune edizioni del Festival di rabel di Pejanda (Valle di Polaciones) il suo repertorio esclude completamente cantares picantes.
[38] Si veda Koskoff 1987a, 1987b; Sugarmann 1989; Ziegler 1990./p>
[39] In questo caso ho preferito usare un nome di fantasia per rispettare la privacy della persona di cui si parla nel racconto.
[40] A questo proposito si veda Ziegler 1990.
[41] E’ evidente che qui faccio riferimento ad un periodo storico preciso e che oggi giorno non si riscontrano situazioni di questo tipo. Fa tuttavia riflettere il fatto che vi sia ancora una certa reticenza ad invertire i ruoli musicali prestabiliti anche tra le generazioni più giovani.
[42] Si veda su questo tema Collisani 1988.